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Intanto un grazie di cuore a tutti quelli che siete stati presenti alla sconvenscion, anche se purtroppo all’ultimo momento è venuta a mancare la grande sorpresa. Mi dispiace solo che ci sono state molte assenze, da tutto il gruppo di Bologna a Roda, da Buck a Pado (spero solo che Pado mi confermi che la sua assenza è stata non voluta e che potrà ancora essere con noi – non ti sarai stufato della nostra compagnia?), assenze poi ben compensate dall’eccellente quarto tempo serale con annessa accesa discussione politica, una di quelle discussioni che piacciono tanto a me, perché normalmente più si alza la voce, più poi, una volta smaltita la benzina alcolica, ci si riconcilia e si cementano amicizie. A questo punto il ristretto consiglio direttivo della sconvenscion ha deciso che ci sarà una nuova sessione plenaria a fine giugno e poi eventualmente a inizio settembre, per cui tutti quelli che siete stati assenti avete tutto il tempo per pianificare a dovere i vostri impegni.

Penso che sia tempo di parlare un po’ di basket, visto che la stagione sta terminando, se non è già terminata, su tutti i fronti. Del campionato italiano ci sarà ancora tempo di parlarne, anche se onestamente non vedo particolari spunti di discussione. Mi dispiace un po’ per Brescia, ma devo nello stesso tempo dire, sperando che Rudi non mi odi per questo, che il bel gioco che si era visto nella fase regolare mi sembra che sia del tutto sparito nella serie contro Sassari. A parte l’infortunio di Della Valle, che era stato però onestamente abbastanza evanescente anche in garatre, prima ancora che si infortunasse, dando l’impressione che proprio non sapesse cosa fare in campo, visto che il tiro non gli andava e per il resto sembrava un pesce fuor d’acqua, quello che mi ha deluso di più è stato proprio il tanto celebrato Mitrou Long che a un dato momento si è imbizzarrito in una specie di delirio risolutorio di puro stampo NBA-esco, della serie i miei compagni sono cessi per cui o fazo-tuto-mi (notare la “z” – sono o non sono triestino?) oppure non vinciamo. Qualcuno ha detto che Brescia ha completamente dimenticato che a volte sarebbe d’uopo anche dare la palla a qualcuno sotto canestro, non si sa mai, qualche volta si può anche segnare da vicino, vale solo due punti, ma a volte bisogna accontentarsi, ma per quanto ho visto io, quando uno come Mitrou Long vuole fare tutto da solo e la palla proprio non vuole uscire dalle sue mani, è solo normale che sotto canestro non arrivi. Adesso attendiamo la ovvia serie finale fra Milano e la Virtus e poi ne parliamo con più calma. Chi vincerà? Mah, onestamente non so, secondo me a Bologna sono ancora troppo gasati per la vittoria in Eurocup e si stanno allargando un po’ troppo. Milano, malgrado tutto, è tutt’ altro che una squadra debole e soprattutto mi sembra che abbia più rotazioni possibili rispetto alla Virtus, cosa ovviamente fondamentale in una lunga serie con partite ravvicinate, e soprattutto in una serie fra squadre che si conoscono fino al numero di calzini di ogni singolo giocatore, per cui di solito vince chi riesce a proporre all’avversario qualche sorpresa tattica nuova, inventata per l’occasione. Cosa che si può fare solo se si ha molta duttilità di ruoli in squadra. E Milano, che ha tutti i giocatori che fanno di tutto (cosa che io personalmente aborro, come sapete, ma tant’è, questo è il basket moderno, baby), potrebbe anche inventarsi qualcosa di inedito. Vedremo.

Eurocup: niente da dire, la vittoria della Virtus è stata limpida come una lacrima, come dicono in Serbia. Devo dalla mia parte fare i sinceri complimenti a Sergio Scariolo, perché dopo molto tempo ho avuto la netta sensazione, palpabile quasi, che le partite contro il Valencia prima e poi la finale contro il Bursaspor (che aveva vinto tre partite in trasferta, fra cui quella con il Partizan – dell’Olimpija non parlo perché non voglio soffrire ulteriormente - e era dunque in grandissima forma e stato di fiducia) siano state preparate a tavolino in modo impeccabile. Quando tu vedi in una partita che una squadra in attacco inizia il suo gioco, fa i primi movimenti richiesti e poi, a un dato momento, non sa più cosa fare perché tutti i suoi giocatori sono marcati in modo perfetto con le possibili linee di passaggio tutte occupate dai difensori, allora capisci che la battaglia strategica è stata stravinta da quelli che difendono. E poi in attacco, più che i ruoli, mi sembra che sia stata messa molto bene in chiaro la divisione delle responsabilità, per cui ciascuno dava l’impressione di sapere cosa stesse facendo in campo, perché ci fosse, e cosa esattamente la panchina si aspettava che facesse. Nessuno ha mai dato l’impressione di volersi allargare personalmente a scapito del gioco di squadra, e questo è secondo me il fondamento di ogni gioco di squadra che voglia chiamarsi tale. Chiaro, in questo caso le rotazioni diventano per forza più scarne (onestamente a me il minutaggio quasi inesistente affidato a Tessitori suona sempre un po’ come un pugno nell’occhio, ma non essendo io il coach della Virtus e visti i risultati della squadra, non ho alcun titolo per lamentarmi), cosa che, come detto più sopra, potrebbe avere il suo peso forse decisivo nella finale scudetto. Tanto più che Teodosić, monumentale nella finale, ha dato proprio in quella partita, dove pure è stato incredibile, la chiara impressione che la sua autonomia fosse limitata, appunto, a una partita sola, e che per recuperare le forze avrebbe bisogno di un tempo ben maggiore rispetto a quello che offre in termini di riposo una lunga serie di playoff. E un Teodosić “vero” per una partita sola ogni tre giocate potrebbe costituire un grosso problema. Come detto, vedremo.

Capitolo Eurolega. Devo confessare una cosa molto imbarazzante: pensavo che si giocassero le semifinali il venerdì e la finale la domenica (a proposito, perché no? Non sarebbe più logico?), per cui mentre giocavano Efes e Olympiakos facevo tutt’altre cose, salvo poi, facendo zapping, scoprire che stavano giocando Barcellona e Real e dunque, riassumendo, delle semifinali ho visto metà del derby spagnolo e poi basta. Non saprei cosa dire di questa partita, se non che mi ha lasciato un po’ perplesso e titubante. Grande intensità, grandi difese da ambo le parti, ma in definitiva il gioco non mi è piaciuto, esteticamente parlando. Non parlo qui di svolazzi artistici o di mosse leggiadre, parlo proprio del senso di compiutezza che dovrebbe lasciarti una partita giocata bene. Mi è sembrato che tutto si svolgesse in una specie di delirio machista della serie che vince chi ce l’ha più duro e lungo senza quasi mettere mai veramente in moto le rotelle delle meningi per cercare magari qualcosa di inedito, sorprendente che almeno una volta ogni tanto spiazzasse l’avversario. Alla fine ho avuto l’impressione che avesse vinto una squadra a caso, in quanto nessuna delle due ha mai veramente, secondo me, fatto in alcun momento cose logiche che dovessero essere fatte in quella situazione per massimizzare le proprie possibilità di vittoria. So che mi odierete per questo, ma l’impressione che ho avuto alla fine è stata quella che provo quando mi costringono a vedere una partita di rugby. Bravi, forti. Niente da dire. Ma da una partita di basket il vecchio balcanico che c’è in me vorrebbe qualcosa di più.

Ovviamente poi la finale, una volta scoperto che si giocava di sabato, l’ho ovviamente guardata. Per tutta la partita il Real mi è sembrato di gran lunga la squadra più forte in campo, ma alla fine ha perso. Secondo me il buon vecchio Pablo Laso ha completamente toppato e per me il vero artefice della sconfitta è proprio lui. Partita preparata benissimo con in testa la giustissima idea di aprire la scatola all’inizio coinvolgendo il più possibile Tavares, che infatti nel primo quarto ha fatto sfracelli, per poi innescare nel migliore dei modi il gioco perimetrale. Il tutto nel quadro di una difesa che aveva ovviamente l’unico compito di pedinare Larkin e Micić fino in bagno se possibile tagliandoli fuori dal gioco. La difesa è stata assolutamente impeccabile e infatti, fino a che nel finale è uscito alla ribalta, of all the people, nientemeno che Tibor Pleiss, l’Efes ha dato sempre e comunque l’idea che non sapesse proprio che pesci pigliare. E infatti non segnava neanche per sbaglio, o per meglio dire, non riusciva praticamente mai a tirare tiri logici. Il problema è che al Real il gioco perimetrale proprio non riusciva. Per favore non venitemi a dire che anche l’Efes ha giocato una grandissima difesa, non provateci neanche, perché vi sputo in un ecchio, come diceva Renzo Arbore nella sigla del miglior programma di intrattenimento che quasi quaranta anni fa la TV italiana abbia mai prodotto. Semplicemente il Real non la metteva neanche in una vasca da bagno. Causeur e Yabusele, che in semifinale sembravano cecchini infallibili, hanno sbagliato tutto lo sbagliabile, anche quando erano completamente soli. Llull e Rudy hanno provato a fare qualcosa, ma neanche loro sembravano molto lucidi e si sono intestarditi in azioni forzate che in semifinale ogni tanto qualche risultato lo avevano portato, mentre in finale sono stati ambedue (in attacco, sia ben chiaro, in difesa hanno funzionato tutti) più di danno che di utilità. Deck e Abalde, per non parlare di Taylor, possono essere grandi e imprescindibili in difesa, ma in attacco sono fortemente limitati, ma comunque avevano licenza di tirare, cosa che hanno fatto in modo disastroso. A un dato momento, perso per perso, è entrato in campo il nostro buon vecchio eroe “Tone” Randolph che ha messo due su tre nelle triple in pochissimo tempo. Poi mai più visto, neanche nel finale, quando la situazione urlava per la sua presenza in campo. Tanto per dire, ma il Klavžar visto in campo in una partita di stagione regolare durante l’emergenza Covid sarebbe stato sicuramente molto più utile di tante stelle con le polveri bagnate. Almeno lui il tiro ce l’ha. Insomma, per quanto ho visto, Laso non ha tatticamente indovinato durante la partita una mossa che fosse una palesando anche una clamorosa mancanza di una qualsiasi idea di un possibile piano B. Che poteva per esempio essere buttare nel cesso la convinzione che si vinceva con il bombardamento di artiglieria per coinvolgere molto più nel gioco Poirier che era stato decisivo in semifinale e che sarà sì brutto quanto si vuole, ma ha una grande dote: dopo il pick rolla verso canestro sapendo anche prendere bene posizione. Poi è forte fisicamente e può incidere in modo decisivo, soprattutto contro un debilitato quale Pleiss che sarà sì bravissimo in attacco (un Porzingis de noantri), ma in difesa è una carta velina che si agita per ogni piccola bava di vento. OK, per difendere su Poirier basta e avanza per esempio uno come Dunston, però intanto Pleiss è fuori e dunque in attacco non farà sfracelli. Così sei tu che detti i cambi al coach avversario e non è poco. Come detto, niente di tutto questo. E poi c’è stata la clamorosa ciliegina sulla torta dell’ultima azione. Ricordo che l’Efes, a più uno (uno! non 20) va in attacco con quasi 40 secondi ancora da giocare. Il Real ha ancora un fallo da spendere. E quando lo spende? Al 20-esimo secondo dell’azione, quando mancano ancora 17 secondi alla fine della partita! Geni! Rimessa per l’Efes con 14 secondi miracolosi in più sul cronometro del possesso che gioca esattamente come si deve giocare in queste situazioni quando l’avversario (secondo me in modo autolesionista) decide di non fare fallo, cosa che ho già ampiamente descritto in un precedente post parlando di un attacco buttato via dal Fenerbahce in un’occasione assolutamente analoga. Palla che gira per 12 dei 14 secondi a disposizione, uno tira da lontano con parabolone galattico (il tempo intanto scorre) con l’unico compito di colpire il ferro con la palla per far continuare l’azione (se poi magari entra tanto meglio) e, come detto, in due secondi non c’è neanche lontanamente il tempo necessario per una squadra per prendere il rimbalzo, andare in attacco e tirare. E infatti è finita con la palla che ballonzolava in area mentre l’Efes già festeggiava. Morale della favola: mi è toccato alla fine vedere una finale di Eurolega decisa da un giocatore che il più delle volte sembra (ed è) un perticone patetico. Convenite con me che qualcosa non va.

E per finire l’NBA. Fine. Nel senso che non ho nessuna intenzione di dire la mia, in quanto, leggendo i vostri commenti, so che ogni cosa dicessi potrebbe essere usata contro di me. Voi vedete determinate cose, io le vedo in modo totalmente diverso, per cui viviamo su pianeti diversi e non ho nessuna pretesa né di farvi scendere sul mio né tantomeno di salire io sul vostro. Forse un giorno potrei fare una specie di discorso onnicomprensivo che parte da lontano per toccare vette impalpabili riferentisi alla filosofia del gioco del basket, dunque inoltrandomi in un campo in cui qualsiasi opinione è lecita, visto che non ci sono prove palpabili che una sia più giusta dell’altra. Per ora mi basti dire che tutte le belle cose che voi avete visto in determinate squadre bravi e fortunati voi ad averle viste, perché io, dal basso della mia rozzezza tecnica, vedo che tutti giocano comunque e sempre nello stesso identico modo. Il giorno che una squadra ha più tiro rispetto all’altra normalmente vince. Come vedete non tocco le vostre vette, per cui taccio. Forse per sempre.