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È tempo che risponda a un po’ di posta. Devo dire che c’è stato un vostro post che mi ha dato non poco fastidio, se non suscitato un moto di rabbia abbastanza pronunciata da suscitare una di quelle mie reazioni che per fortuna, visto che vivo da solo, non hanno uditorio.

Sentirmi dire che non capisco nulla dell’America e che giudico a un tanto al chilo mi ha semplicemente offeso, perché se è così sono un idiota. È dai miei anni più teneri, da quando ho cominciato ad interessarmi alle cose del mondo, che mi sono posto la domanda di tutte le domande, perché quegli ignoranti americani che non sanno nulla del mondo sono la superpotenza mondiale e perché tutto il mondo dipenda da loro. Non aveva senso. E allora la prima cosa che ho fatto è stato studiare come possa essere accaduto. Tanto per dire, in quinta liceo il professore di storia ci aveva assegnato per il voto di fine anno una tesina di storia ed io, unico fra tutti fra la meraviglia dei miei compagni di classe, decisi che la cosa che più mi appassionava era la storia e soprattutto la genesi della guerra civile americana. Ragion per cui feci molte ricerche e mi feci anche un’idea di cosa potesse essere successo che mi aprì gli occhi e mi fece cambiare prospettiva su tutto quanto era accaduto, idea che dopo tanti mi accompagna ancora perché in tutto questo tempo non è successo nulla che la confutasse, anzi, ogni cosa che succede la conferma sempre più. 

In definitiva quello che penso è che proprio all’inizio della loro breve (anzi, calcolando le ere della civiltà mondiale, brevissima se non quasi fulminea) storia siano stati almeno un secolo avanti rispetto a tutto il resto del mondo, il che ha loro permesso di mettere in piedi una società che per l’epoca era estremamente evoluta e funzionale al progresso soprattutto materiale. Erano partiti da zero, profughi soprattutto politici e religiosi (non bisogna mai dimenticarlo) dall’Europa, e dunque misero subito in piedi una società nella quale erano abolite le caste aristocratiche e di rendita, una società nella quale più lavoravi e faticavi, più avevi. E dunque una società intrinsecamente democratica, una società che rispetto alle caste di stampo feudale che ancora imperavano in Europa (la dichiarazione di indipendenza americana anticipa di tredici anni la rivoluzione francese, se non sbaglio) era anni luce avanti. E infatti la loro Costituzione è ancora oggi un documento di straordinaria attualità e modernità e non si può che rimanere affascinati dalla constatazione di quanto i loro padri fondatori fossero avanti rispetto al resto del mondo (ovviamente i diritti umani erano pensati per gli uomini “liberi” e non certamente per gli schiavi, non umani per definizione, ma questo è un “dettaglio”). E dunque si può tranquillamente capire perché la loro società avesse tanto successo, come pure descrisse e perfettamente analizzò Tocqueville a metà del secolo successivo (lettura obbligatoria per chi vuole capire qualcosa degli Stati Uniti).

Poste dunque queste basi bisogna anche avere fortuna e gli americani ne ebbero tanta, ma proprio tantissima. Tutto era a loro favore: una volta espletato il fastidioso, ma tutto sommato facile, compito di sterminare prima, e ghettizzare poi, i popoli nativi ebbero a disposizione un territorio sterminato e fertile da colonizzare, lontano per l’epoca anni luce dalle altre parti del mondo nelle quali si consumavano guerre interminabili e deleterie, e in più poterono tranquillamente avere a disposizione un’imponente massa di mano d’opera a costo praticamente zero, quella degli schiavi importati dall’Africa. Se non bastasse, dall’Europa cominciò ad arrivare gente che non pretendeva altro che di trovare un lavoro a qualsiasi costo che permettesse di sfamarla dopo essere sfuggita alle intollerabili condizioni dei paesi natii. Meglio di così…E infatti è solo ovvio che la guerra civile fu un nodo fondamentale del loro progresso, in quanto la rapida industrializzazione degli stati più sviluppati, quelli del nord, imponeva la creazione di una massa di lavoratori mobili, che potessero essere spostati rapidamente da un lavoro ad un altro per soddisfare le necessità contingenti, e dunque la mano d’opera stanziale degli schiavi doveva essere “liberata” per far fronte alle nuove necessità. Cosa che puntualmente successe.

Non sono un economista, ma al di là di ciò mi sembra solo banale il fatto che, una volta creato, poi il capitale tenda ad accumularsi. E se non esiste un freno che solo idee socialiste (scusate, ma questo è un punto fondamentale della mia ideologia che non abbandonerò mai, perché la ritengo l’unica coerente con l’umanità come la intendo io) possono imporre, semplicemente si accumula sempre più in sempre meno mani. Il che, come è successo in America, porta alla creazione di una nuova casta di aristocratici, quella data dalla ricchezza. La quale, come ogni oligarchia che si rispetti, prende in mano tutte le leve del potere, compresa soprattutto quella cruciale dell’informazione e della creazione del consenso. E dunque parlare di stampa libera in America, come giustamente dice Chomsky, è semplicemente irreale, perché proprio non esiste. E quella poca che è mai esistita oggi proprio non esiste più. Per cui dire che Trump è contro l’establishment è semplicemente stupido, visto che non sarebbe arrivato dove è arrivato senza clamorose spinte politiche (sembra roba passata, ma la lobby del petrolio è ancora, e finché ci sarà petrolio continuerà ad esserlo, più che fortissima, decisiva – per non parlare degli hacker di Putin, ma questo è un altro discorso che implicherebbe una buonissima dose di dietrologia, però, come disse Andreotti, pensare male si fa peccato, ma normalmente si indovina). Uno come lui, profondamente ignorante e tutto sommato stupido, bravissimo mestatore che volge ogni situazione a suo vantaggio con metodi perlomeno dubbi, per non dire direttamente truffaldini, può essere arrivato ad essere Presidente solamente in uno stato profondamente malato, uno stato che non capisce proprio più cosa sia la politica, quella vera, che media fra i vari interessi e prova a far sì che tutti abbiano almeno il minimo per poter vivere degnamente. Trump ha fatto aumentare il PIL degli Stati Uniti? Sì, ma a quale prezzo? Quello di far sì che, come ha detto un americano di quelli che ancora pensano, gli Stati Uniti siano il paese del terzo mondo più ricco della terra con una sterminata moltitudine di senza tetto, di gente che non riesce a mettere insieme due pasti al giorno e che se si ammala non può farsi curare. Queste sono le cose che a me importano e le varie teorie della cospirazione secondo cui il potere occulto non lo vuole perché lo insidia mi paiono, anzi sono strasicuro che lo siano, stronzate colossali.

Ora non si sa ancora chi ha vinto le elezioni, anche se pare che Joe Biden (uno dei peggiori candidati democratici della storia, per fortuna che c’è Kamala, che mi sembra l’unica nota positiva di tutta questa patetica, per non dire tragica e foriera di ulteriori disastri, vicenda) sia in netto vantaggio (gli bastano Nevada e Arizona) grazie ai voti per posta che sono regolari come tutti gli altri ed essendo usati da gente letterata sono ovviamente nella stragrande maggioranza anti-Trump, come è solo normale che sia. Scusate, ma alla fin fine, andando proprio al cuore della questione, al netto di tutto, vi pongo una semplice domanda. Secondo voi è meglio per uno stato un Presidente che è stato votato in larghissima, per non dire schiacciante, maggioranza nei centri urbani e più istruiti, oppure un Presidente designato dal ventre più culturalmente arretrato ed ignorante dello stato stesso? Per me il problema non si pone neppure, essendo sempre stato convinto che per decidere chi debba essere alla guida dello stato il giudizio di una persona intelligente e istruita sia più importante di una persona stupida, ma soprattutto ignorante. Fra l’altro andate a vedere il risultato, che a me sembra esilarante, del Distretto di Columbia, cioè Washington, cioè la Capitale, cioè il luogo dove per definizione si dovrebbe sapere meglio di tutti cosa si dovrebbe fare: Biden 93%, Trump 6%. Qualcosa vorrà pur dire.

Sul basket ci ritornerò, ma per il momento mi preme un altro argomento, quello della correlazione fra la proprietà linguistica e l’intelligenza, nel senso che quest’ultima viene stimolata a raggiungere il massimo potenziale insito nel patrimonio genetico di una persona proprio in stretta correlazione fra la capacità di distinguere fra i vari concetti attingendo al patrimonio linguistico di cui si è in possesso. Ora questa mia tesi appena esposta non so come dimostrarla scientificamente, ma per me vale in modo ferreo proprio per l’esperienza maturata personalmente nell’ambiente nel quale sono nato e poi cresciuto, paragonando la mia personale esperienza con quella di persone che, o hanno avuto il mio stesso tipo di percorso di apprendimento, oppure, al contrario, sono state limitate in ciò da condizioni oggettive, leggi nascita e sviluppo in una famiglia monolingue.

Parto dunque da qui, dando per buona la tesi sopra esposta. Se ovviamente qualcuno non è d’accordo può tranquillamente smettere di leggere. Se uno legge attentamente l’esposizione della tesi e di come è stata formulata può tranquillamente rispondere a tutte le obiezioni di AlbertoAtene, nel senso che quanto lui dice obiettando in effetti non fa che confermare l’assunto della tesi. E’ solo ovvio che chi vive in una comunità isolata, tipicamente un’isola o una isolata valle montana, per quanto mischiata da varie origini sia la sua lingua, rimane una sola lingua che, per quanto all’inizio potesse essere stata impreziosita da varie fonti diverse, poi si è comunque cristallizzata e non si è sviluppata più. Ragion per cui è solo normale che l’orizzonte sia culturale che linguistico di chi vive in un ambiente limitato geograficamente si sia fossilizzato. Quello che è veramente importante è che nel processo di apprendimento a distinguere (i Romani, loro sì che se ne intendevano, dicevano: “qui bene distinguit, bene docet”) si possa scegliere fra varie lingue vive e vegete nel momento nel quale le si parla. E’ dunque solo ovvio che si debba per forza vivere in un ambiente multiculturale e soprattutto si abbia modo di accedere all’apprendimento delle varie lingue in modo continuo e proficuo, e l’unico modo proficuo e continuo che io conosco è quello di parlarle.

Queste cose le ho discusse in lungo e largo con mio padre che, come me, aveva un’ossessione per queste cose, tanto che da giovane si mise a studiare il sanscrito per arrivare alla base stessa, e dunque comprenderla, delle nostre lingue indo-ariane. Si trattava di discussioni, a volte interminabili, che mi mancano in modo quasi struggente ancora adesso, nelle quali, a parità di esperienze personali, potevamo discutere in modo produttivo saltando tutte le cose che per noi erano normali e acquisite e che dovevamo invece appena spiegare e giustificare (facendo per i nostri gusti una fatica inutile e normalmente improduttiva) ogni volta che avevamo a che fare con persone che non avevano vissuto la nostra stessa esperienza. E lui, per rispondere anche ad una domanda di Llandre, da buon professore di inglese, ma soprattutto di studioso del “Why it is how it is”, mi spiegò una volta perché l’inglese fosse una lingua particolarmente privilegiata e del perché, secondo lui, gli inglesi, proprio grazie alla loro lingua, avessero conquistato il mondo. In breve: l’inglese era una lingua artificiale nata dal punto di incontro di tipo quasi “esperantistico” fra l’anglosassone (che come dice la parola stessa era il tedesco di origini sassoni che si parlava in modo quasi dialettale fra le popolazioni che dalla Sassonia si erano stabilite sull’isola britannica), dunque strettamente germanico, delle popolazioni native della Britannia, e il francese di stampo normanno che era diventata la lingua ufficiale in Britannia, o per meglio dire politicamente Inghilterra, visto che gli scozzesi e i gallesi erano rimasti culturalmente indipendenti (cioè più legati alle loro radici celtiche), dopo la conquista di Guglielmo nell’ 11-esimo secolo. Per comunicare fra conquistatori e popolino si sviluppò una lingua sintatticamente sempre più tipo Tarzan (“io Tarzan, tu Jane”), cioè semplificata al massimo, cosa che le ha dato una formidabile capacità di adattamento e sviluppo. Piccola digressione: come curiosità mi parlò del perché della sparizione della seconda persona del singolare, sostituita dal “voi”, cioè del come il “thou” divenne sempre e comunque “you” rimanendo solamente nell’inglese aulico delle preghiere religiose, dovuta secondo lui al fatto che per il popolino qualsiasi persona con cui entrava in contatto dovesse essere comunque trattata con rispetto e devozione, essendo superiore di censo e casta, per cui il “tu” semplicemente sparì, addirittura anche nell’ambito familiare, tanto che si da del “voi” anche ai propri figli.

In più la neo lingua inglese assorbì al suo interno le parole che definivano le varie cose praticamente a coppie, l’originale germanico assieme al corrispettivo termine normanno, e da ciò per esempio il fatto che gli animali domestici hanno nomi diversi se sono ancora vivi o cotti sul tavolo (ox per bue se vivo, beef=boeuf se cucinato, pig per maiale se è vivo, pork se cucinato, eccetera – chissà perché (?) i nomi delle pietanze sono in francese…i padroni erano gli unici che mangiavano regolarmente). Non solo, ma con il tempo le varie origini delle parole hanno preso sfumature diverse di significato, facendo sì che, intanto, l’inglese sia una delle lingue al mondo con il vocabolario più vasto (se non sbaglio ha quasi il doppio di vocaboli rispetto alle altre lingue, qualcosa oltre i 15mila, ma ripeto, cito a memoria e potrei dire stupidaggini), e poi, soprattutto, grazie alla grandissima quantità di vocaboli e dunque di concetti espressi dai quali attingere, ha una grandissima precisione nell’esprimere quanto si vuole dire. E’ dunque una lingua che per la sua genesi ha una grandissima capacità di distinguere e, come detto, chi bene distingue, bene insegna.

Poi magari vediamo Trump e cadono le braccia, per non dire di attacchi inconsulti di gonadociclosi. Ma questo è tutto un altro discorso. O forse no. Pensate a Shakespeare, o per non andare lontano magari a un Mark Twain o un Oscar Wilde, e poi vedete Trump e ditemi se non siete anche voi convinti che il mondo stia andando a catafascio.