Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti. Per ulteriore informazioni sull'utilizzo dei cookie e su come disabilitarli, clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando su qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.

Stampa

Scusate il ritardo, ma sono alle prese con gravi problemi di Internet (che alla Telecom mi hanno assicurato di aver risolto, ma non riesco lo stesso a collegarmi se non per brevissimi periodi giornalieri), ragion per cui ho dovuto obtorto collo procurarmi un cellulare (!!) per collegarmi con il mondo. Per dire della gravità della cosa. 

Sconvenscion. Brutte nuove e buone nuove. Ovviamente la data è confermatissima, ma in quel periodo di luoghi ameni all’aperto dove potersi riunire (lo dice Vremec, e se lo dice lui è sentenza) non ce ne sono, per cui abbiamo deciso di comune accordo di ricorrere al classico ristorante che però offre tutte le garanzie possibili e immaginabili. Intanto è in centro di Opicina e ha anche stanze nelle quali può pernottare chi lo volesse, è molto spazioso e l’ambiente è cordiale e familiare. Parlo dell’albergo-ristorante Valeria, uno dei capisaldi della ristorazione del nostro borgo, per cui state sicuri che vi troverete benissimo.

Ed inoltre lo chef è: a) nipote di una signora che nei tempi felici gestiva un negozio di culto di dischi in zona Barriera, ma questo non c’entra, b) figlio minore della sorella di un mio compagno di classe alle medie, ma anche questo non c’entra e c) i suoi due fratelli maggiori sono il primo mio ex allievo a scuola ed attualmente il mio amministratore di condominio e quello medio un eccellente ex giocatore nel giro della nazionale cadetti ed attuale allenatore dello Jadran in C gold. Come vedete in fatto di conoscenze e di legami con il basket ce ne sono a millanta. Il ragazzo (oddio, ora non più tanto) è bravissimo e ci troveremo sicuramente benissimo. L’orario di inizio danze è ovviamente quello classico dell’una della tarde. Il ristorante si trova in modo facilissimo, in quanto si trova sulla strada principale del borgo che va verso il confine (e infatti si chiama Strada per Vienna) ed è esattamente di fronte alla diramazione che va verso Basovizza (Via di Basovizza, vedi il caso!) e il confine verso Fiume (Boško, arrivando dall’altra parte ci arrivi sparato – se non ti fermi allo stop ci sbatti contro!). E poi, rimanendo a Opicina, il terzo tempo post sconvenscion lo potremmo benissimo consumare nel Bar Vatta gestito in modo superbo da Boris Vitez. Che per chi non lo sapesse è stato un grande giocatore di basket, e dunque rimaniamo perfettamente in tema.

Passando al basket, scrivo apposta prima del draft dell’NBA per glissare su chi, dove e come sceglierà Dončić, in quanto la cosa non mi interessa per nulla. O per meglio dire faccio finta di non interessarmi per anestetizzare il dolore che provo pensando al fatto che la sua carriera, andando nell’NBA, è finita prima ancora di cominciare. Cioè potrà anche fare una grande carriera e guadagnare una barca di soldi, ma tecnicamente regredirà e non vedremo mai il giocatore che avrebbe potuto essere.

C’è ovviamente da festeggiare la promozione della nostra Alma in Serie A, quella vera. Devo confessare che, forse anche un po’ per scaramanzia, avevo sensazioni non proprio brillanti. Avevo paura che la squadra, priva di un centro vero, potesse accusare una grossa inferiorità sotto canestro e che la qualità del suo gioco e dei suoi tiratori potesse non bastare in partite nelle quali ci si gioca tutta una stagione e il braccino incombe. E invece devo aver sopravvalutato l’A-2 perché non ho visto da nessuna parte e in nessuna squadra centri veri, capaci di fare la differenza sotto le plance (che i centri veri non esistano più oppure le squadre vogliono stranieri tuttofare che sopperiscano alla cronica mancanza di tecnica e di talento dei giovani virgulti italici? A voi la risposta), per cui la supposta inferiorità di Trieste non si è vista proprio, anzi per la maggior parte delle partite è stato il contrario. E’ stato bravissimo il coach e tutto lo staff tecnico-atletico-medico a fare sì che la squadra arrivasse carica come una molla nelle partite che contavano e, a parte il tremebondo inizio di gara uno in finale, il sistema ha funzionato come un orologio svizzero di marca. Alla fine la vittoria è venuta da sé quasi senza storia. Per un campionato che sulla carta si presentava come una lotteria penso che sia il miglior complimento che possa esprimere alla società e al tecnico. Come gestione complessiva la cosa che mi è piaciuta di più è stata il fatto che le rotazioni sono state “democratiche”, nel senso che i due americani facevano parte del gruppo esattamente come tutti gli altri con ciò responsabilizzando e motivando al massimo i giocatori indigeni. Cosa questa per me assolutamente fondamentale per cementare lo spogliatoio e creare un vero gruppo. Non per niente i giocatori chiave della vittoria di Casale sono stati Cavaliero e Fernandez, per non nominare i vari Da Ros o Mussini che sono stati decisivi altre volte. Veramente bravi. Sono molto contento. Finalmente la Serie A recupera una delle piazze storiche del basket, la città che vive da sempre di basket, dove si giocava già negli anni ’30 del secolo scorso soprattutto negli oratori e nei ricreatori, dove nel dopoguerra sotto gli americani si vedeva e si giocava un basket che dalle altre parti di Italia neanche sapevano che esistesse, dove il basket è sport nazionale se ce n’è uno, insomma, che i bolognesi non leggano quanto sto per scrivere (dei milanesi neanche parlo - lo sapevate che la vostra massima squadra è nata nel dopoguerra come una dependance di profughi triestini, e che è per questo che la sua maglia è rossa?), che è la vera e unica “Basket City” d’Italia e una delle poche che conosco al mondo. Per me l’unica che se la gioca alla pari è Lubiana e forse Badalona. O anche Čačak. Parlo di entusiasmo, non dimenticherò mai che quando facevo le telecronache dell’Acegas in B-2 (!) c’erano a ogni partita almeno 2000 spettatori, anche quando si giocava il derby contro Monfalcone, con tutto il rispetto, ma soprattutto di competenza e di conoscenza del gioco. Ora si spera che la società si accontenti per una stagione di porre solide radici in un ambiente totalmente diverso (sostanzialmente che non cada in mano a quella congrega di rapaci avvoltoi che si chiamano procuratori) e che poi, una volta radicatasi nella massima serie, faccia un po’ come Venezia, allargando progressivamente prospettive, orizzonti e ambizioni. Del resto non credo che in Federazione vedano di cattivo occhio una realtà che garantisce 7500 spettatori a partita in un impianto moderno, bello e funzionale.

Italia. La notizia bomba è che Milano è riuscita a non perdere lo scudetto. En passant devo comunque dire una cosa, e che cioè non credo esista per un coach una situazione più stressante e angosciosa di quella in cui è totalmente obbligato a vincere, per cui onestamente per Pianigiani, da ex collega, se così posso dire allargandomi a dismisura, ho provato sincera pena e mi chiedo quanti anni di vita abbia lasciato nella serie finale. Milano ha giocato sicuramente molto meglio nei playoff di come abbia giocato per tutta la stagione prima. Guarda caso, ma per me è solo l’ovvia conseguenza, e voi mi conoscete bene, la cosa ha coinciso con la drastica diminuzione delle rotazioni e con le scelte che ha fatto il coach di far giocare di più chi secondo lui lo meritava. Ora su queste scelte si può discutere e io per esempio ne discuterei a lungo molto volentieri, ma non è questo il punto. Il punto è che quando hai in squadra gerarchie che definire cristallizzate nel caso di Milano sarebbe eccessivo, ma comunque almeno abbozzate sì, la squadra stessa si muove in campo in modo totalmente diverso, fondamentalmente perché di colpo sa ciò che in realtà vuole. Nella serie finale le cose sono state un tantino diverse, primo perché ovviamente Milano, essendo una squadra sostanzialmente di semi fighetti un po’ se l’è fatta addosso, e poi perché Trento, non avendo in realtà nulla da perdere ha giocato con il coltello fra i denti ed ha reso sicuramente oltre al 90% delle sue possibilità (sul famoso 110% sono perfettamente d’accordo con coach John Wooden quando rimarcò al collega che in conferenza stampa aveva elogiato la sua squadra affermando che aveva dato il 120% che poteva ritenersi un uomo fortunato, perché lui, che un po’ di matematica elementare la conosceva, era molto soddisfatto quando la sua UCLA rendeva all’80%). Chiaramente essendo una squadra di mammolette poi Milano ha piagnucolato sul fatto che gli avversari avessero picchiato per tutta la serie a mano salva. Cosa ovviamente totalmente ridicola e che lascia supporre che Milano in Eurolega, pensandola così, non andrà mai da nessuna parte. Ma almeno la Final Four in TV l’hanno vista? Viste le botte continue fra Fenerbahce e Real hanno ancora il coraggio dire che Trento picchiava? Ci vuole una bella faccia tosta. Tornando alla serie a decidere è stata ovviamente gara cinque. C’era il fallo a sei secondi dalla fine su Jerrells o Goudelock o chi comunque era? Per me onestamente no, ma si può discutere e se voi dite che era inequivocabile lo accetto anche. E Sutton si è accorto sull’ultima azione di non essere solo facendosi stoppare da pirla? Secondo me no, perché in questo caso col piffero che si sarebbe fatto stoppare. Ciò non toglie comunque che Trento probabilmente non meritasse la vittoria che, se l’avesse ottenuta, sarebbe arrivata solo e esclusivamente perché nell’ultimo quarto Shields ha avuto il sostegno a piene mani dal consorzio globale dei luoghi di apparizioni mariane che al confronto Lebron o Durant sembrano principianti. Poi in gara sei Trento ha finito la benzina e incredibilmente Milano ha giocato finalmente una partita di basket umano e non esoterico con giocatori che si riusciva addirittura a capire perché stessero in quel momento in campo e a fare cosa, per cui non c’è stata partita. E proprio in gara sei si è finalmente visto cosa potrebbe fare Milano se solo avesse giocato così per tutta la stagione.

Finisco con una piccola annotazione sui Mondiali di calcio. Non ho potuto non fare, vergognandomi subito come un cane, dopo aver visto la Croazia maramaldeggiare sull’Argentina (nel senso letterale, della serie vile tu uccidi un uomo morto), il solito giochino di cosa avrebbe potuto fare in Russia la Jugoslavia al completo. Prendo il blocco croato, metto in porta ovviamente Oblak, rafforzo la difesa con Ivanović e Kolarov, rendo il centrocampo granitico inserendo in rotazione (certo Modrić, Rakitić e Brozović sono già fortini di loro) Pjanić, Matić e Milinković-Savić, e come prima punta aggiungo a Mandžukić, che in questo caso potrebbe fare il lavoro che fa alla Juve, Džeko. Che ne dite? A me sembra uno squadrone.