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Prima di tutto una conferma a Marco Giacomini che in effetti per la data prevista sarò a Cento e che ci sarà anche coach Stefano Michelini che mi ha telefonato confermando la presenza. Se a qualcuno interessa, fra l’altro, il mercoledì prima, mi sembra che sia il 22, sarò a San Vendemiano sempre per una serata fra amici (agonisticamente neanche tanto, perché hanno appena battuto il mio Jadran in C Gold).

Ho visto anch’io la partita fra EA7 e Segafredo (parafrasando Buck, perché anch’io non me la sento di chiamarle Olimpia e Virtus) e devo dire che in fase di commento avete detto tutto voi. Io di mio aggiungo, battendo sempre la lingua dove dente duole, e a me duole tanto già da molto tempo, che mi è parsa stridente l’assenza in ambo i campi di un play, di uno cioè che faccia quello che il play deve fare, ragionare, dettare i tempi e distribuire le conclusioni, alla radice di tutto fare gioco. Bologna è da questo punto di vista tragica: con questo impianto di gioco non vedo come possa vincere una partita punto a punto, visto che in ogni finale il suo gioco, già labile di sé, si squaglia.

Lafayette? Per favore, pietà! Fra l’altro mi sembra che le cifre, in questo inizio di stagione, mi diano ragione. Milano un play l’avrebbe, per quanto limitato e non certo di genio, ma di atteggiamento e mentalità sì, e parlo ovviamente di Cinciarini. Guarda caso le cose migliori per Milano ci sono state quando in campo c’era lui. Su Pascolo ovviamente sfondate porte inesistenti, per quanto riguarda Theodore e Goudelock sono più che d’accordo con quanto detto, e infine mi aggiungo a quelli che pensano che Milano abbia pescato il jolly nel mazzo prendendo Gudaitis. Quando un giocatore mi piace, normalmente per un lungo scorcio di partita guardo solamente lui, cosa fa, come si muove e come ragiona. Per me è promosso a pieni voti, soprattutto perché ha un grandissimo pregio, e cioè quello di saper benissimo cosa sa fare e cosa no, per cui fa solamente le cose per le quali può essere utile, e sono tantissime, visto che ha un grandissimo fisico, grande velocità e tempismo e soprattutto mani da piovra. Esattamente il contrario di Gentile (Ale – a proposito, mi preoccupa molto l’involuzione di Stefano che, a vederlo, peggiora di anno in anno – eppure avrebbe i numeri per fare molto bene) che, ripeto per l’ennesima volta, se facesse il Marko Milič, cioè se sfruttasse il suo fisico pazzesco per giocare sotto canestro, in entrata e a rimbalzo senza voler palleggiare e tirare, cose che proprio, mi dispiace, non sa fare, potrebbe essere devastante. Fra l’altro ha visione di gioco e un passaggino all’uomo libero tagliante lo sa fare benissimo. Peccato che si intestardisca di continuo a voler fare cose per le quali proprio non è tagliato. Quanti contropiede ha fatto Milano su palle rubate in palleggio a Gentile? Nel terzo quarto penso di averne contate tre di fila.

Cambiando argomento mi è molto piaciuta la vostra analisi sulla decisione del CIO sui videogiochi, decisione a mio avviso allucinante, ma ammetto di essere di essere di un’altra generazione e dunque fuori dalle cose di questo mondo, ma che comunque la si prenda si presta a una serie di riflessioni che poi alla fin fine si riducono alla classica domanda della serie chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, e cioè: cos’è lo sport? Non esiste discussione se non si fissa una volta bene per tutte una precisa definizione di cosa sia e in che cosa consista lo sport. Ovviamente qui casca l’asino, perché ognuno lo definisce a modo suo, ma comunque lo si definisca sembra che non si possa prescindere dalla constatazione che sport presume anche una parte di attività fisica. Per cui capisco benissimo il punto di vista della maggioranza di voi, per i quali per esempio bridge e scacchi non sono sport. Posso ammetterlo, dal punto di vista formale avete ragione. Però vi invito a fare un piccolo sforzo cerebrale e di provare a sondare la zona grigia nella quale uno sport inteso come attività fisica è ancora sport e il momento dopo un altro sport molto simile a quello prima non lo è più. Per esempio penso che il tiro con l’arco non si possa discutere che sia attività fisica. Un mio amico a suo tempo si dilettava con l’arco nudo e un giorno mi fece provare a casa sua il suo arco che io, con le mie braccia di gommapiuma, non riuscivo neanche a tendere. Però mi dovete concedere che si tratta di un’attività molto limitata, anzi, più il corpo che non è coinvolto nel meccanismo di rilascio della freccia si muove, peggio è. Ma…e allora il tiro a segno, con la pistola, con la carabina, è ancora sport? Pare di sì, visto che è alle Olimpiadi. Eppure quando sparano sono immobili. Sì, però reggere la carabina e fare in modo che non tremino le braccia, è attività fisica. Va be’, passi. Però mi dovete concedere che siamo abbastanza al limite. Passiamo alle freccette, quelle da bar. Anche qui c’è attività fisica, ma visti anche i fisici di quelli che le praticano, non mi sembra proprio che la condizione atletica abbia una qualsivoglia importanza sulla prestazione. Si tratta ancora di sport? Boh! Non lo so. Finiamo con i video giochi, dove l’unica attività fisica è un furioso smanettamento sul joystick. Qui, mi dispiace, ma non ci siamo. Se mi dicono che è attività fisica, li mando a quel paese. Non potranno mai convincermi.

Proprio per questo tipo di considerazioni io parto dal presupposto che sia sbagliata nel concetto la concezione iniziale di sport quale attività fisica. So che sono uno dei pochissimi a asserire questo, per cui tutto quello che desidero è che abbiate la pazienza di leggermi e poi magari, anzi sicuramente, non essere d’accordo con quanto sto per scrivere. 

Io normalmente parto dall’etimologia della parola per capire cosa intendessero gli anglosassoni alla radice come sport. Che, come sappiamo, deriva dalla parola francese che indica diporto, cioè divertimento, relax, gioco, mantenimento della salute fisica e mentale. Per mantenere la salute fisica bisogna fare attività fisica, mi sembra lapalissiano. Ma per tutto il resto? Dov’è, by the way, il mantenimento della salute mentale nei videogiochi? Che della salute mentale sono la totale antitesi? Sport vuol dire anche gioco, cioè un’attività soprattutto per i più piccoli, ma anche per gli adolescenti e i giovani adulti, che prepari attraverso simulazioni più o meno reali o simboliche alle vere sfide che la vita ci pone davanti. Non per niente tutti i sistemi autoritari hanno dato grandissima importanza allo sport proprio per queste sue caratteristiche educative. Ma non solo: gli inglesi hanno in realtà inventato lo sport per addestrare i futuri quadri dirigenti proprio attraverso lo sport, cosa che hanno sul loro solco poi fatto gli americani, per i quali lo sport nei college è sacro.

Insomma, quello che voglio dire è che secondo me il concetto di sport limitato alla componente di attività fisica che comprende è un concetto gretto e limitato. Per cui, e qui mi dispiace, perché so che sarò deriso, il bridge, per le sue caratteristiche di gioco, di svago, di sana competizione, di allenamento della mente, ma anche di socialità, è uno sport a tutti gli effetti, soprattutto per le persone della terza età, quelle che se fanno attività fisica continuata corrono seri rischi di rimanerci. Per non parlare degli scacchi che secondo me dello sport hanno esattamente tutto, anzi dal mio punto di vista sono “lo” sport per eccellenza. Lasciando da parte le sovrannaturali doti mentali che bisogna avere per giocarci (non per niente quasi tutti i più grandi giocatori della storia prima o poi ne sono usciti pazzi, come direbbero dalle parti di Edoardo) e la feroce competitività, al limite dell’omicidio virtuale o comunque simbolico, dell’avversario (quando si abbatte il suo Re, si abbatte lui, e viceversa, quando si cala il proprio Re ci si sente un po’ morti) che permea ogni partita, pochi sanno dell’incredibile dispendio fisico che una partita di scacchi di cinque ore (due ore e mezza a testa per 40 mosse) richiede. Le cifre studiate danno un consumo totalmente incredibile di calorie. Infatti pensate a qualche campione di scacchi obeso o comunque sovrappeso. Proprio non esiste. Sono tutti magri come acciughe, al limite dell’emaciato.  

E per finire vorrei smentire me stesso ritornando alla politica. Smentire comunque fino a un certo punto, in quanto voglio solo proporvi l’editoriale apparso ieri sul Delo, il massimo quotidiano sloveno, a firma di Damjan Slabe, quello che io ritengo il miglior commentatore politico che hanno, anche perché, e qui sono soggettivo, normalmente le sue opinioni coincidono perfettamente con le mie. Parla ovviamente del problema catalano e con ciò prendo due piccioni con una fava: propongo un commento esterno dandolo a voi come base per una riflessione, preferibilmente da farsi fra sé e sé e confrontarla con le proprie opinioni in merito, e inoltre potete anche capire come la pensi il sottoscritto.

Il titolo è: “Quando gli agnellini tacciono”.

“Cosa sta facendo a Bruxelles il Presidente del governo catalano Carles Puigdemont? E’ solo fuggito vergognosamente oppure è ancora attivo politicamente? A giudicare dal sito internet che ha aperto colà è in esilio. In quanto nel suo paese, in Spagna, è minacciato da, nel caso peggiore, 30 anni di carcere a causa delle sue diverse convinzioni politiche e delle sue aspirazioni per l’indipendenza della Catalogna. E’ dunque un perseguitato politico. Richiedente d’asilo, come si intende in Europa. Addirittura un Presidente richiedente d’asilo. La Spagna ha emesso ieri nei suoi confronti e in quelli di quattro suoi ministri addirittura un mandato di arresto internazionale.

E cosa ha fatto di questo “Presidente richiedente d’asilo”, a cui secondo tutte le regole l’UE dovrebbe concedere almeno l’occasione di spiegare le ragioni del suo problema, se non addirittura concedere il diritto di asilo, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, quello che sa così affettuosamente dare un colpetto sulla spalla del premier ungherese Viktor Orban e sussurrargli in un orecchio, per scherzo ma neanche tanto, “dittatorello”? Niente. Lo evita. Si è forse fatto sentire il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, hanno forse detto qualcosa i suoi sempre critici parlamentari dell’unica istituzione europea eletta democraticamente, per la quale hanno votato anche gli stessi catalani, ha blaterato qualcosa almeno il capo di tutti i capi di governo europei Donald Tusk? No. A parte il fatto ovviamente che si tratta di un affare interno spagnolo nel quale l’UE non sarebbe tenuta ad intervenire. Sai che democrazia! Quando si tratta di un paio di centesimi per sovvenzionare le vacche europee, che peraltro succhiano dal sacco comune europeo già più soldi di quanto non siano i salari minimi in Romania, l’UE è capace di riunirsi in sessioni maratona notturne, mentre 7 milioni e mezzo di catalani, che sono a tutti gli effetti cittadini europei e vogliono rimanerlo, valgono evidentemente meno di queste vacche europee. 

Questo è almeno quello che appare dalle reazioni di Bruxelles a quanto sta facendo Madrid che tratta la Catalogna e le sue istituzioni elette democraticamente come fosse una colonia ribelle. Trent’anni di galera per una presunta organizzazione illegale di un referendum democratico su una maggiore autonomia e forse addirittura per staccarsi dal Centro, che su questa volontà di maggiore autonomia non ha neanche l’intenzione di negoziare? E’ questo nell’Unione europea, che sarebbe una comunità democratica di popoli, veramente un crimine di tali dimensioni? Chissà se magari l’Europa si doterà in futuro sulla falsariga dell’articolo spagnolo “155” di un proprio articolo “133”, quello che preoccupò non poco i popoli jugoslavi negli anni ’80, e magari la ispano-catalana Ibiza (in catalano Eivissa) diventerà il nuovo Goli Otok?

E’ comunque vero. I separatismi di tutti i tipi sono un grosso problema europeo. E un enorme pericolo. Questo lo sappiamo già dai tempi del Kosovo, per il quale l’UE ha creato un  precedente e aperto un vaso di Pandora. Alcuni (e la Spagna certamente sa benissimo perché non sia fra quelli) non l’hanno ancora riconosciuto. E’ del tutto possibile e logico capire anche Juncker che afferma di non voler assolutamente vivere in un’Europa di 95 stati membri. Però fare finta che l’esiliato Puigdemont non sia a Bruxelles, che non sia minacciato da una lunga detenzione a causa delle sue divergenti aspirazioni politiche, e che in Europa non esista un “problema catalano” (e tanti altri a lui simili), e contemporaneamente sperare in silenzio che il problema possa essere risolto, in modo tale da dare l’esempio a tutti, dalla Spagna stessa in modo brutalmente coloniale, è la massima stupidaggine che Bruxelles possa fare. E nello stesso tempo per lei la massima vergogna possibile.

Agendo così di separatismi in Europa ce ne saranno non di meno, ma semmai di più. E a differenza di quello catalano, estremamente civile, possono facilmente diventare molto presto molto più violenti.”