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Avevo cominciato a scrivere un nuovo post più di due settimane fa nel quale rispondevo, per così dire, a un po’ di posta, dicevo cioè la mia su alcuni vostri commenti. Poi per ragioni varie non l’ho finito, cosa che comunque farò, per cui a questo punto sperimenterò una cosa nuova, quella cioè di postare due pezzi in ordine cronologico invertito, visto che ora incalza l’attualità, leggi le mie considerazioni sulla Nazionale di basket vista in questi giorni a Capodistria. Dirò ovviamente la mia in curiosa attesa di sapere cosa ne pensate voi, soprattutto miei lettori più fedeli. Se posso anticipare qualcosa, dalla “vox populi” che con Tommaso abbiamo raccolto sulle gradinate del Bonifika pare che il sentimento generale sia quello di, diciamo così, forte sconcerto, per usare un eufemismo veramente all’acqua di rose.

 

Chiaramente come primissima cosa devo cominciare con un forte abbraccio e un commosso pensiero a Leone per la sua lacerante perdita. In casi come questi invidio veramente coloro che hanno il dono della Fede, perché penso che, se capitasse a me, non ne verrei mai più fuori.

Parliamo ora di basket, cosa che, ne sono certo, farà piacere anche al caro amico che comunque mi legge sempre. Allora, Italia. L’Italia dei tre fenomeni e mezzo dell’NBA (il mezzo è ovviamente Datome, visto che ora torna in Europa) ha: 1) vinto contro la Finlandia grazie a Gallinari che ha fatto nove punti di fila mentre tutti gli altri erano spariti dal campo nel momento in cui i finlandesi erano arrivati sotto dopo essere stati sotto anche di 20, 2) perso contro l’Ucraina senza Gladyr, Kravcov, Liščuk e Pečerov, di quelli che avevano giocato due anni fa, dilapidando in modo ignobile e senza reazione più di 20 punti di vantaggio presi facilmente nel primo tempo quando aveva giocato in modo umano e 3) perso contro la Slovenia alla quale mancano 8 titolari 8 (Goran Dragić, i due Lorbek, i due Murić, Vidmar, il solito Beno Udrih che pure stavolta sembrava intenzionato a venire e il piccolo Nikolić, Aleksej, l’eroe della miracolosa salvezza degli Under 20 a Lignano).

Non un grande bilancio e mancano solo due settimane all’esordio europeo. Certo bisogna lavorare ancora, come dice il coach, ma la domanda che sorge spontanea (scusate la frase fatta, ma non ho in questo momento né molta fantasia né grande voglia di scherzare) è: lavorare sì, ma su cosa? Voglio qui andare duro e se mi farò nemici importanti, pazienza. Sono abituato. Un mio amico diceva sempre che, per quanto allenato, un tacchino non diventerà mai aquila. Una constatazione banale che però non riesco a capire perché valga per tutti, meno che per Bargnani. Bargnani no, lui povero, si dà da fare, si allena bene, bisogna aspettare che entri nel meccanismo, che acquisisca la mentalità…sempre tacchino però rimarrà. Rimarrà cioè sempre uno che appena lo sfiori (anche in riscaldamento con i propri, visto con i nostri occhi, sempre i miei e quelli di Tommaso) si sposta, che in difesa non c’è mai dove dovrebbe essere, che per mentalità non riesce proprio a concepire l’idea di andare a prendere qualche rimbalzo, che in attacco o tira da fuori o non fa nulla – si, va bene, qualche entrata ogni tanto, ma ben poca roba – di andare sotto canestro a prendersi gomitate, di spingere qualche avversario, di fare qualche giocata di furbizia o cattiveria non se ne parla neppure, insomma, sarà, anzi sicuramente lo è, un ragazzo sensibile, intelligente, ma per favore, non si pensi che possa essere un giocatore di basket. Non lo è, punto e basta. Dal vivo è molto, ma molto peggio che in TV, credetemi. Se uno guarda solo quello che (non) fa gli cadono letteralmente le braccia. Per cui la sua presenza in Nazionale a dare il cattivo, per quanto, ne sono certo, assolutamente involontario, ma quella è la sua indole, esempio è totalmente esiziale. E la condiscendenza che nei suoi confronti ha la panchina mi ha lasciato, a dir poco, sconcertato. Per dire: durante la partita con l’Ucraina, mancavano circa 4 minuti alla fine del terzo quarto e il risultato era in bilico, Alen Omić, l’unico, e assolutamente imprescindibile, lungo che la Slovenia abbia, non è andato a un rimbalzo in attacco. Zdovc è letteralmente entrato in campo e, mentre faceva verso il tavolo il gesto del cambio, ha tirato un cazziatone micidiale al giocatore con i muri del palazzetto che tremavano. Non è più rientrato.

Il problema però non è il solo Bargnani. C’è molto di più. A me personalmente, ma qui penso che sia una questione di gusti e tutto è opinabile e discutibile, per cui prendetela come un’opinione personale che non vuole assolutamente pretendere di essere la verità rivelata, le gerarchie della squadra sembrano sballate. Intanto c’è Belinelli. Il quale Belinelli, quando viene usato come terminale dell’attacco, cioè quando esce da un qualche blocco dal lato debole o con taglio verso il fondo o fuori a ricciolo, o quando viene servito da un penetra e scarica sul perimetro, è un tiratore micidiale, per cui in questi casi è veramente un qualcosa in più. Quando però si intestardisce con la palla in mano scassandola per lunghi secondi come per vedere se ha dentro la sorpresa (come dicono a Contovello) palleggiando nel contempo sul posto come tarantolato mentre il perplesso avversario rimane lì a guardare finendo poi con il fare tiri improbabili in arretramento, allora no, a me la cosa dà fastidio, anzi mi incazza forte. Scusa, Beli, e gli altri quattro in campo cosa ci stanno a fare? Guarda che anche loro sanno giocare bene a basket, dirò di più, certuni giocano anche molto meglio di te. Purtroppo per Gentile vale esattamente la stessa cosa. Non riesco proprio a capire dove stia la bellezza, ma soprattutto l’utilità, di certe entrate a rullo in uno contro tre, sì tre, perché gli avversari dopo pochissimo tempo mangiano la foglia e sanno che il pallone tenterà di darlo via, se mai avrà l’intenzione di farlo, quando sarà ormai tanto incartato da non avere più alcun angolo utile di passaggio. Nelle qualificazioni europee di due anni fa Gallinari era il vero leader della squadra, quello che dettava i tempi, che era insomma il vero faro del gioco, il boss in campo, un po’, fatte le debite proporzioni, un piccolo Larry Bird de noantri. E lo faceva benissimo, e infatti quella Italia è stata la migliore che abbia visto in questi ultimi anni. A Capodistria l’ho visto in un ruolo da uno come tutti gli altri, pochissimo coinvolto, ma soprattutto sempre al traino di qualcun altro o comunque mai colui che detta i ritmi di gioco. Gallinari è molto più di un tiratore, viste le sue capacità fuori dal comune di vero giocatore di basket, per cui usarlo solo come terminale dell’attacco (fra l’altro, vista la sua lentezza di piede, non è che le sue entrate siano fulminanti, anzi, prima che si metta in moto ci vuole un’eternità, per cui in uno contro uno non è che sia un drago), e secondo me non usarlo come vero e proprio perno della squadra, il classico giocatore di riferimento a cui si rivolgono tutti e che tiene in mano le fila del gioco, mi sembra sottoutilizzarlo in modo decisivo.

Non vorrei essere il classico uccellaccio del malaugurio, ma il secondo tempo della partita contro l’Ucraina ha risvegliato in me agghiaccianti ricordi di un’angosciosa Italia-Israele di Lituania ’11, quella del famoso timeout di Pianigiani che fece il discorso più famoso della sua gestione. O se per quello, di un’altrettanto micidiale Italia-Lettonia sempre dello stesso campionato. Chissà come, anche allora c’erano assieme in campo Gallinari, Belinelli e Bargnani. Come allora l’Italia ha dato l’impressione di essere un gruppo di bravi giocatori che si ritrova in campetto per uno scrimmage molto amichevole e affrontato come tale, che si mette d’accordo all’ultimo momento su chi gioca dove, e poi in partita ognuno fa quello che vuole senza che nessuno gli dica niente dando la palla a un altro quando non sa più che farsene. Oppure, a un dato momento, quando decidono di giocare da squadra, si passano la palla per 24 secondi andando un po’ di qua e un po’ di là senza un taglio, uno smarcamento, un blocco, o, se qualcuno lo fa, chi ha la palla non lo vede visto che non gli passa neanche per la mente che il gioco possa essere stato fatto (toh, che sorpresa!). Certo, bisogna lavorare ancora, ma bisogna farlo molto in fretta ritornando anche alla domanda iniziale: su cosa? E come, quando l’anarchia sembra regnare sovrana nella mente dei giocatori (date la palla a me che sono il più forte e solo io posso farvi vincere la partita)?

Alla panchina azzurra imputo principalmente la colpa, se di colpa si può parlare, di essere troppo buona con i giocatori che, ne sono sicuro, non fanno assolutamente nulla in malafede, anzi, vorrebbero essere utili alla causa e si danno da fare, si impegnano per quanto possono (già, ma quanto possono?), ma evidentemente hanno abitudini sbagliate che a volte bisognerebbe sapere correggere con le cattive, quando con le buone non ci si riesce. Dire: ma, poveri, si impegnano e vorrebbero fare, non basta. A volte, secondo me, bisogna battere qualche pugno sul tavolo e portare al limite la situazione al punto di rottura, tipo: ”ragazzi, qua comando io, e sono io il responsabile di come giocate, per cui o giocate come voglio io, oppure fate tutta la partita in panchina, e non potrebbe fregarmi di meno di quanti soldi guadagnate. Certo, poi se perdo con tutti vostri dollari in panchina salterò sicuramente, però almeno so nel più profondo della mia coscienza di avere agito per il meglio.”

 

Peccato veramente, perché la squadra sulla carta, e anche a vederla in campo un giocatore per uno, è veramente forte e completa. In più devo dire che Hackett mi ha impressionato in modo estremamente favorevole. Ha giocato senza sbavature, senza strafare, facendo esattamente quello che serviva per la squadra, con disciplina e costrutto, insomma veramente bravo. In più il nucleo dei protagonisti di Capodistria ’13, Datome, Aradori, Melli, Cinciarini, Cusin, Poeta sembra intenzionato a giocare sulla falsariga di quella bellissima edizione dell’Italia (a Capodistria, ripeto, poi a Lubiana fu un’altra storia), per cui secondo me il potenziale della squadra rimane intatto. A parte il fatto che non riesco proprio a capire cosa abbia Pianigiani contro Polonara che almeno per me dovrebbe essere con Melli la coppia di numeri quattro dinamici del tipo moderno di giocatori tuttofare capaci di giocare in ogni posizione del campo con grande duttilità, tipo di giocatori che in Europa, a parte la Grecia, ora scarseggia (scusate, ma sono abituato ai tempi nei quali nella Slovenia giocavano giocatori di questo tipo, Smodiš e Tušek su tutti, che erano sempre una spina nel fianco degli avversari che non sapevano con chi e come marcarli), a parte questa sua idiosincrasia per me inspiegabile, dicevo, penso che l’Italia possa ancora fare molto bene. Sempre però che finalmente si riesca a capire e soprattutto a stabilire in questa squadra chi beve e chi paga. In una squadra vera non c’è posto per le stelle che si comportano da tali. Se riusciranno a capirlo, bene. Se no bisognerà inculcarglielo con la forza bruta. Se però non lo si vorrà fare, allora preparatevi a altri timeout piangenti e imploranti al rispetto per la maglia e per il nome stampato davanti.