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A volte mi monto la testa e mi sembra di essere quasi un po' profetico nelle cose che scrivo. Parlo della cultura sportiva in Italia e di come la feccia del Paese si concentri, e la cosa sembra fatta apposta in quanto sta un po' bene a tutti, nelle varie associazioni di ultras di calcio e, tac, arriva l'inaudita vicenda di Salernitana-Nocerina. Che dimostra ancora una volta come, nel male, la realtà superi di gran lunga qualsiasi pessimistica previsione. Onestamente mi è sembrato di sognare, o meglio, di avere un incubo. Non potevo credere che persone all'apparenza come tutti noi, tipo il sindaco di Nocera, potessero dire cose talmente fuori dal mondo da apparire quasi metafisiche. Ottenendo anche che lo ascoltassero. E, mi sembra di capire, anche per le genti di quei posti quanto successo viene quasi derubricato nella categoria delle curiosità magari facendo un paio di grasse risate sulla incredibile pantomima messa in piedi dai giocatori, nella più' perfetta scia della secolare tradizione, non per niente nata in Italia, della Commedia dell'arte, per fare in modo che la partita venisse sospesa. In effetti cosa hanno fatto i nostri tifosi tanto di male? Bisogna capirli, poverini, non è stato loro concesso di andare a fare il tifo (corretto, per carità!) per la loro squadra in trasferta. Non si può giustificarli, ma capirli sì. Ma ci si rende conto di cosa si sta parlando? Si sta parlando di una partita di calcio di terza serie, dunque roba molto seria, che viene direttamente decisa da cause esterne di tipo doloso. Mi scuserete se la cosa sa un tantino di puzza sotto il naso (discriminazione territoriale?) da polentone, ma non credo di essere lontano dalla verità se affermo che da quelle parti una qualsiasi minaccia deve essere presa maledettamente sul serio. Per cui, cosa fare? Piangere. Oppure prendere il coraggio a 16 mani e cancellare il campionato o in subordine, se proprio si vuole essere teneri, radiare la Nocerina tout court da tutti i campionati. Dopo aver ovviamente gettato in galera tutti i ceffi che hanno minacciato la squadra e aver buttato via la chiave. Lo si farà? Certamente no. Per cui per quanto mi riguarda la cosa non mi interessa più. Alzo le mani e mi arrendo. Non parlerò più di cultura sportiva né di come dovrebbe essere vissuto lo sport. Ho cose più importanti da fare, tipo qualche sudoku difficile o andare a giocare a bridge. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

E, una volta presa questa decisione, mi tocca, per il mio lavoro, commentare quanto successo alla fine di Croazia-Islanda, ritorno degli spareggi per andare ai Mondiali di calcio. C'è un giocatore, Šimunić, nato in Australia da emigrati croati, e a questo punto si capisce anche perché erano emigrati, che prende un microfono, ringrazia la folla e termina con un triplice: "Za dom (per la casa=patria)!" e il pubblico, all'unisono, risponde :"Spremni (pronti)!". Il che, per chi non lo sapesse, era l'esortazione finale a ogni riunione degli ustaša di Ante Pavelić durante il periodo dello stato fascista croato durante la seconda guerra mondiale. Come se alla fine della partita decisiva per la qualificazione dell'Italia un giocatore prendesse il microfono e urlasse: "Eia, eia!" e gli 80000 di San Siro gli rispondessero: "allalà!". Anzi, ancora peggio. Pensate a cosa debbono aver pensato i serbi nel vedere queste scene. Agghiacciante. Ovviamente almeno nell'immediato futuro a me, in Croazia, non mi vedranno neanche in foto, ma non è questo il punto. Il punto è che io parlo di cultura sportiva, poi vedo queste cose e mi rendo conto di vivere sulla luna e di essere un'anima candida che si illude che lo sport possa essere solo sport nella sua accezione più nobile. Illuso idiota! Per cui veramente non voglio parlarne più, perché se c'è una cosa che odio, è quella di farmi ridere dietro le spalle.

Parliamo allora di circensi. Forse perché sono molto amareggiato, ma la prima impressione che ho avendo visto qualcosa del campionato italiano e anche qualche scampolo di Eurolega è che il livello del basket che si vede confina con il semi-tragico. A dire il vero più nel campionato che non in Eurolega, dove ogni tanto si vedono buone squadre. Però anche lì, tolte le squadre che non si sono indebolite ("la" squadra? Il Real – altre non mi vengono in mente), mi sembra incontrovertibile che non ci sono formazioni che possano dirsi pienamente attrezzate. Ieri ho visto per esempio uno scampolo del Maccabi che ha perso contro Scariolo in casa e nel finale, devo dire, mi è sembrato che le idee degli israeliani fossero peggio che inesistenti, cioè oltre che confuse, anche palesemente errate. E tutto ciò per una squadra allenata da un signor coach come David Blatt! Immaginarsi se al suo posto fosse stato un altro. Del resto quando si da in mano la squadra all'ex play (?) di Pesaro (sbaglio?) grandi cose da lui non si possono certamente attendere.

Tornando al campionato italiano, smantellata Siena e con Milano che tenta con difficoltà di trovare un suo assetto (sia ben chiaro che Banchi sta facendo quello che deve, ma purtroppo per lui anche quello che può, avendo la sua squadra due "piccole" lacune: non ha statura e non ha play), il campionato sembra di tutti. Certo, l'equilibrio ha un suo fascino, anzi sono sicuro che sia la qualità più importante per qualsiasi campionato di qualsiasi sport, ma di grazia, per uno che ogni tanto vorrebbe vedere anche qualcosa che gli ricordi il nobile giuoco del basket, quel che è troppo è troppo. L'altra domenica c'era un match che era stato presentato come importante fra Roma e la Virtus Bologna. Ho visto tre quarti di anti basket con Roma che in qualche modo era riuscita a prendere 12 punti di vantaggio, dopodiché, all'inizio dell'ultimo quarto, i romani sono andati in catalessi prolungata, uccisi da una zona 1-3-1 che hanno attaccato in tutti i modi, meno che in quello giusto, quello che ci insegnavano al primo anno di corso per allenatori e che quando viene applicato (portare la palla obbligatoriamente in post alto per far sì che la difesa scelga cosa coprire e agire di conseguenza con scarichi negli angoli - dove devono esserci obbligatoriamente due nostre ali – o con giochi alto-basso fra lunghi nel caso la difesa chiuda sugli angoli stessi o ancora con scarichi negli angoli e creazione di soprannumeri sul lato forte con rapidi ribaltamenti sul lato debole dove i nostri giocatori si mettono "fra le linee" direbbero i calciatori) fa sì che la difesa venga abbandonata subito, e infatti oggi non viene giocata più da nessuno. Potevo immaginare che, visto che nessuno la gioca più, i giocatori potessero essere sorpresi in un primo momento, ma che poi continuassero a non capirci nulla mi è apparso inaudito. Eppure il coach in panchina è uno bravo. E allora Bologna, spinta da un ex-Olimpija (Walsh) e da un ex-Krka (Jerome Jordan), indovinando anche il bonus di un 2 su 2 da tre di Imbrò, ha rivoltato la partita come un calzino vincendo alla fine senza trovare opposizione con gli avversari stralunati (quel Mosley, ve lo raccomando!). Ora, sfogliando i vostri commenti (scusate, ma sono all'antica e parlo come se tutto fosse ancora cartaceo) vedo che avete parlato a lungo di Fontecchio. Il quale ha segnato un tiro da tre in solitudine. Dove sarebbe di grazia la stimmata del campione in tutto questo? Datemi un po' di allenamento e anch'io, se sono solo, sono ancora capace di segnare da tre. Ora, leggendo la classifica, vedo che Bologna è molto in alto. Certo, è una squadra assemblata e allenata bene, non ci possono essere dubbi, ma un tantino di talento vero vorrei anche poterlo vedere. Come detto le travi portanti della squadra sono due ex giocatori del campionato sloveno e, con tutto l'affetto che ho per la Slovenia, non mi sembra proprio uno straordinario biglietto da visita, con uno svedese molto imparato, fisicamente eccellente, ma non certo baciato in fronte dagli dei del basket e con un giocatore che mi ha molto incuriosito, tale Motum, che mi sembra si chiami Brock (di nome e di fatto), in quanto, pur avendo una mano palesemente di pietra, continua a scagliare missili da lontano come se pensasse di essere un tiratore. Su Imbrò? Rileggere prego un mio commento a un Virtus-Varese dell'anno scorso. Nel frattempo nulla è sopraggiunto che mi abbia fatto cambiare idea. Anzi, se possibile, quanto detto mi sembra abbondantemente corroborato dai fatti successivi.

A proposito di Varese, l'ho vista contro Sassari. My God! Che tragedia! Ora ho capito come abbia fatto a perdere ambedue le partite di Eurocup contro l'Olimpija che in Lega Adriatica vince una partita ogni tanto e anche quella (roba dell'ultima settimana) con tiri assurdi all'ultimo (o forse addirittura oltre) secondo. Onestamente mi sembra una squadra nella quale ognuno gioca secondo il suo livello di incapacità (cioè è chiamato a fare cose che non sa, mentre quelle che sa, le fa un altro che a sua volta non le sa fare). E dire che l'anno scorso è stata a un passo dallo scudetto. E il solo Dunston in meno non spiega il crollo. Anche se in effetti è una perdita decisiva, questo bisogna ammetterlo.

NBA? No comment, neanche sotto tortura. State però attenti che quest'anno, visto che dovunque ti volti, basket non ne vedi, perso per perso, guardo anch'io qualcosa dell'NBA, per cui prima o poi aspettatevi qualche mia sortita anche in quel magico mondo con qualche cognizione di causa in più. Certo è che il giocatore più incredibile che ho visto in questi ultimi giorni è un freshman di Duke che ho intercettato casualmente guardando una partita di precampionato contro Kansas. Mi ricordo che di nome fa Jabari (chi può dimenticare un nome simile) e di cognome una roba comunissima, tipo Parker, uno che sembra un Durant in fieri. Vedremo.

Per finire ancora qualcosa sulle nazionali. Dico solo che ci ritornerò, perché l'argomento è troppo importante e anche cruciale per le sorti di ogni sport. Dico solo che tanti anni fa Aldo Giordani propugnava l'abolizione delle nazionali perché, secondo lui, erano una perdita di tempo e, vista l'autarchia obbligatoria, il gioco che le nazionali praticavano (eccetto quella americana, ovviamente) era infimo rispetto a quello di ogni squadra di club che poteva permettersi qualche giocatore americano. Girai questa osservazione un giorno a Boris Kristančič che si mise a ridere e mi disse: "Sergio, le nazionali sono l'unica ancora di salvezza che ha qualsiasi sport! Non ti chiedi perché, quando ci sono le Olimpiadi, gli americani che sono abituati ai massimi sport professionistici, sono comunque lì con le loro bandierine a fare a squarciagola il tifo per squadre di giocatori di college (allora) gridando di continuo: "USA! USA!"? O perché il massimo stagionale del basket non è la serie finale dell'NBA, ma la march madness? Perché lì entrano in gioco elementi di coinvolgimento emotivo che nessuna squadra di club potrà mai dare. Uno sport è forte quando la sua nazionale è forte".

E, aggiungo io, perché allora il problema non si poneva essendo sconosciuto (c'erano esempi sporadici, tipo Luyk e Brabender che giocavano per la Spagna), la nazionale dovrà essere sempre essere formata da giocatori di quella nazione perché possa scattare la molla dell'identificazione collettiva. Un giocatore potrà anche essere sulla carta straniero, ma per esempio un Begić in Slovenia sarà sempre percepito come sloveno, in quanto ha fatto tutta la sua strada cestistica in Slovenia, parla sloveno più che correttamente, dunque è percepito come uno dei "nostri". E questo è l'unico spartiacque importante, che cioè uno che gioca in nazionale la gente lo percepisca come suo. La politica delle naturalizzazioni forzate, come pure lo sciagurato bonus che la FIBA offre, per cui uno può schierare in nazionale un giocatore che con la nazione che rappresenta non ha alcun tipo di legame, non può portare a nulla di buono. La nazionale funziona se viene percepita come l'espressione del movimento sportivo di quella nazione. Altrimenti fallisce. Vedi per esempio il baseball o l'hockey su ghiaccio che si dettero a un massiccio programma di naturalizzazioni col risultato di aver buttato semplicemente via una barca di soldi.