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Prima di scrivere di basket vorrei una volta per tutte chiarire la questione della pronuncia dei nomi jugoslavi (intesi come area geografica – fra l'altro perché non cominciare a definire gli slavi dei Balcani come jugoslavi nel senso proprio dell'appartenenza geografica senza implicazioni politiche di alcun tipo come si usa dire anglosassoni o latini?) e in generale slavi. Premessa: come sapete la grafia dei nomi slavi comporta l'uso del segnetto che vedete sopra le c,s e z (per gli jugoslavi, perché i boemi, che l'hanno inventata, la usano anche sopra la r,t,e e probabilmente altre che non ricordo, anche perché il boemo non lo so...onestamente) che cambia la loro pronuncia, segno che colpevolmente viene omesso quando i nomi vengono scritti da altri, segnatamente latini e germanici che questo segno non lo conoscono, per cui si crea un grandissimo casino quando, in mancanza del segno, uno non sa come leggere correttamente il nome. Per fortuna, anche forse al traino dell'entrata nell'Unione europea di un gran numero di popoli slavi che fino al 2004 non c'erano (!), si sta pian piano cambiando mentalità e devo subito fare un plauso all'UEFA che è già da un paio di anni che scrive tutti i nomi slavi nel modo giusto, per cui finalmente quando giocano squadre ceche o slovacche riesco a leggere correttamente i nomi. Con sommo piacere ho visto che a ruota c'è andata la IAAF che nelle ultime manifestazioni internazionali ha avuto i nomi scritti in modo corretto sul pettorale degli atleti. Stranamente la FIBA, che pure dovrebbe essere più filoslava di tante altre Federazioni, per ora non lo fa ancora.

Un'altra premessa: le pronunce jugoslave sono facilissime perché, a differenza di inglesi o francesi per esempio (ma anche degli italiani: uno straniero di primo acchito magnifico lo leggerebbe mag-nifiko e non certamente manjifiko), a lettera uguale corrisponde suono uguale, per cui storpiare i nomi jugoslavi per una persona di cultura accettabile è perfettamente inaccettabile. Unica eccezione in alcuni casi lo sloveno (per esempio la pronuncia del mio cognome), ma sono regole normalmente eufoniche di immediata comprensione. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

Faccio dunque la tabella che vi invito a archiviare per risolvere i problemi quando vi si presenteranno e per mettere la questione definitivamente ad acta. Comincio: le vocali e le consonanti b,d,f,m,n,p,r,t e v si leggono esattamente come in italiano. La "l" è molto liquida come nel dialetto napoletano (unica eccezione, anche qui, guarda caso, lo sloveno che pronuncia la "l" dura come nel Nord Italia e infatti gli sloveni di seconda generazione che parlavano in casa il serbo-croato, tipo Handanović o Iličić, si riconoscono, quando parlano sloveno, proprio dal modo di pronunciare la "l"). La "g" è sempre (SEMPRE!) dura come in "gara". La "c" semplice senza segnetto è sempre (SEMPRE!) "tz" o, se si vuole, la doppia zeta di c...o. La "h" si pronuncia sempre (SEMPRE!) ed è molto dura e pronunciata come nel russo "kh" o nel boemo (e slovacco e polacco) "ch". La "j" è sempre (SEMPRE!) la "i" consonantica di Caio o di paiolo. Per cui il prossimo che mi pronuncia la "j" come "ž" alla francese o inglese gli sputo in faccia. La "k" è ovviamente sempre la "c" italiana di capra. La "s" è molto sibilante, per cui la "s" italiana nelle lingue jugoslave semplicemente non esiste. Ed infatti la cosa più difficile per un italiano nel leggere nomi jugoslavi è quella di doversi fare violenza per leggere ad esempio Slovenija come, appunto, Slovenija, e non come appare alle nostre orecchie "Zlovenia". Infatti la "z" è molto morbida (SEMPRE!) e solo un tantino più dura della "s" italiana in rosa. Passando ai segnetti, la "č" e semplicemente la „c" italiana di cielo. In serbo e croato c'è l'aggiunta della „ć" che è la "č" più morbida che noi del nordest Italia abbiamo perfettamente nei nostri dialetti nelle parole per esempio cior, ciapar o ciapin. Ed infatti io quando parlo sloveno mi tradisco invariabilmente quando pronuncio la „č" molto dura slovena come se fosse la „ć" croata. La "ž" è finalmente tale e quale la famosa "j" francese. Dunque per favore non confondete "j" e „ž". Ci sono poi le due combinazioni "lj" e nj" che fra l'altro il serbo-croato cataloga quali lettere dell'alfabeto a se stanti, che si pronunciano rispettivamente come la "gl" di foglia o la "gn" di gnocco. Per cui quando dite Paspalj (a proposito, nelle lingue jugoslave x e y non esistono proprio, per cui per favore non usatele neppure voi) non dite per favore, vi imploro in ginocchio, "Paspali", ma se proprio non riuscite a dire "Paspagl'", dite almeno Paspal" che è comunque molto meno sbagliato. E c'è infine, ma solo nel serbo-croato, la lettera "đ" che si può scrivere anche "dj" che si pronuncia esattamente come la "g" italiana di gioco, per cui il famoso giocatore serbo di tennis è semplicemente Gioković. Per voler essere precisi c'è poi anche la variante molto più dura dello stesso suono (una specie di doppia g italiana di raggio) che si scrive "dž" come in Džajić, Džikić o (incubi juventini!) Mandžukić.

Basket: purtroppo non ho visto le Final Four dell'NCAA, anche se avevo tutte le intenzioni di farlo. E' successo che volevo guardare le repliche del giorno dopo, ma, avendo saputo che Louisville, per cui facevo un clamoroso tifo contro, aveva battuto in rimonta sia Wichita State che Michigan, per le quali invece facevo un gran tifo, non ho avuto il fegato di torturarmi per assistere a due brucianti sconfitte. Perché facevo tanto tifo contro? Perché semplicemente le squadre di Pitino giocano il basket tipico che fa vincere a livello NCAA, ma che in effetti non producono giocatori di quelli che piacciono a me, ma super robusti robot che per i miei gusti non mi dicono proprio niente. Mentre per esempio desideravo tanto che vincesse Trey Burke, giocatore per il quale stravedo e che per me è stato l'unica vera stella lucente che abbia brillato in questa stagione (come dicono i miei illustri colleghi: che delusione Cody Zeller!). A dire il vero mi piaceva un sacco anche Shane Larkin di Miami Florida (la squadra di quel bravissimo coach che è Larranaga), ma purtroppo sono stati eliminati subito, a mia gran sorpresa.

Eurolega: nessuna vera sorpresa, anche se, perversamente, continuo a ritenere l'Anadolu Efes più forte dell'Olympiacos che però, lo ammetto senza esitazioni, ha molti più attributi dei turchi che in teoria avrebbero guardie più forti, ma tutte piuttosto incapaci quando la battaglia si combatte con la baionetta. Che la serie fra il Barcellona e il Panathinaikos sarebbe stata inguardabile l'avevo, me lo concederete, pronosticato in tempi non sospetti. Senza Mickael, con Lorbek a un quarto di servizio con i problemi che ha di acciacchi e di salute e con Re Juan Carlos dall'autonomia sempre più limitata il Barcellona è una squadraccia. Scusate, ma continuo a ritenere Marcelinho un decerebrato che al massimo, con un tiro assurdo e fondamentalmente idiota, può farti vincere partite che prima, con il suo gioco sconsiderato, aveva fatto di tutto per perdere. Per non parlare di Wallace e Ingles (perché Jawai e Sada dove li mettiamo?) con la ciliegina sulla torta della guida in panchina. Il Pana ha perso praticamente tutti a parte ovviamente Diamantidis che quando fa il Diamantidis può vincere da solo due partite contro il Barcellona, ma che se indovina una giornata o un periodo di cattiva forma affonda tutta la squadra che senza di lui e con Baby Shaq usato con il contagocce (ma perché, di grazia?) è praticamente inesistente (a parte Lasme, giocatore che tutti prendono in giro per ragioni a me ignote, ma che è assolutamente bravissimo, facendo sempre e comunque solo cose giuste). Morale della favola: questa Eurolega può solo perderla il Real (attenzione: addirittura in semifinale contro il Barcellona – potenza dei derby), nel senso che se trova gli equilibri giusti col Chacho che sarà il giocatore chiave di tutte le Final Four non vedo chi possa batterlo, neanche il CSKA che pure dovrebbe essere l'unica possibile altra pretendente. Sempre sull'Eurolega una piccola chiosa sull'assoluto disinteresse che riscuote nella stampa specializzata italiana, leggi Gazzetta che dedica pagine su pagine all'NBA in puro stile calcistico, nel senso che le notizie fondamentali riguardano paturnie e problemi vari dei singoli giocatori, storie insomma che fanno vendere copie ma che di sportivo non hanno niente. I giornali devono vendere copie e se fanno così una ragione ci sarà, non essendo masochisti. E la ragione purtroppo è quella che ci fa tutti noi andare in bestia: il grande pubblico oggigiorno, colpa soprattutto dei media che, appunto per vendere copie vanno al più bieco traino dell'opinione pubblica imboccando senza ritegno la linea di minor resistenza, segue soprattutto, grazie anche alle storie di cui sopra, il rutilante circo dell'NBA proprio perché è un circo che, incidentalmente, per fare spettacolo pratica (dire gioca mi sembra troppo) il basket. Con ciò, come detto, seguendo la deriva calcistica per la quale un'unghia incarnata del centrale sinistro del Sassuolo è più importante dei metodi di allenamento di Conte, Allegri, Montella o Mazzarri (Stramaccioni no, onestamente, perché penso che non lo sappia neanche lui) e secondo quale filosofia mettono in campo le loro squadre e perché usano le disposizioni tattiche che usano, tutte cose che per esempio interesserebbero me.

Vorrei finire con una riflessione sulle cose che piacciono a me e di cui, potenza del coach che è in me, tanto mi piace scrivere. Se ritenete le mie opinioni tecniche irrilevanti potete anche smettere di leggere. Vi ho avvertiti. Continuo: Stefano mi da un assist pazzesco parlando dell'attacco alla zona, avendo trovato il mio pallino assoluto. Dire che concordo in pieno con quanto lui scrive è dire poco. Non sa quanto piacere mi abbia fatto leggere che il suo coach dai tempi del minibasket diceva che la zona nevralgica dell'attacco alla zona è quella del post alto in lunetta e che solo da lì possono nascere i pericoli per la difesa. Chi è 'sto coach? Vorrei tanto saperlo per contattarlo. Parlando di attacco alla zona penso che si possa partire da lontano con una constatazione che mi sembra banale. Mentre la uomo difende, appunto, gli uomini e dunque per metterla in difficoltà bisogna muovere gli uomini nel modo più razionale possibile con tagli e blocchi continui, la zona difende la palla e dunque per batterla bisogna muovere la palla. Avete mai provato, giocando le partitelle fra amici, attaccare la zona (nelle partitelle tutti, prima o poi, passano a zona per ovvie ragioni di fiato carente) semplicemente girando vorticosamente la palla, senza alcun tipo di costrutto, rimanendo magari sempre lì? Provatelo: vedrete che senza scampo dopo una quindicina di secondi un attaccante avrà sicuramente un tiro del tutto aperto. Garantito. Se poi, come vecchissima, ma validissima regola prevede, ogni tre passaggi laterali ne fate uno dentro, l'effetto sarà ancora più devastante. Tutte le zone, anche quelle fatte ai massimi livelli, vanno infatti in grossa sofferenza quando le "pompate", quando cioè le fate muovere dentro e fuori, perché è in questo tipo di movimenti che normalmente qualche sincronismo difensivo inevitabilmente salta. In quest'ottica il modo migliore per attaccare la zona è, secondo me, proporre innanzitutto i famosi soprannumeri, cioè il triangolo da un lato del campo formato dall'ala, dal post alto e dal post basso posto sulla linea del tiro libero. La difesa in questo caso deve decidere come mettersi: se il post basso nel suo taglio viene seguito sulla linea di fondo dal difensore del lato opposto, allora un semplice ribaltamento veloce di lato permette all'ala dell'altra parte di giocare un comodo uno contro uno contro la guardia che è dovuta per forza andare a chiudere. Con ovvi vantaggi di mismatch. Se non viene seguito, allora ci si trova di fronte a un tre contro due che permette sicuramente ad uno dei tre di avere un comodo tiro (che poi bisogna mettere, non bisogna mai dimenticarlo!). Se a coprire il taglio del post basso è il centro, come oggigiorno accade quasi sempre, allora si crea inevitabilmente una voragine proprio sulla linea del tiro libero che, incredibilmente, non si sfrutta mai. Nel senso che può anche succedere che la palla vada lì a uno che vi capita per caso, ma questi non si rende mai conto di aver praticamente già distrutto la zona, perché non guarda il canestro, ma riapre. Peccato mortale: quando la palla è in lunetta, basta girarsi verso il canestro per tirare una specie di facile tiro libero o, in caso di rotazione, avere una serie ghiotta di opzioni per un passaggio facile fra le linee difensive. Tutto ciò però facendo girare la palla. Per cui quando vedo attacchi alla zona con palleggi insistiti o, peggio ancora, quando vedo attaccare la zona con un pick and roll mi viene l'orticaria per non dire il voltastomaco. Per me il paradigma assoluto dell'attacco alla zona è quanto vidi fare in un'azione nella più bella partita che abbia mai visto e commentato, e cioè la finale dei Mondiali 2002 fra la Serboslavia e l'Argentina. Successe che gli argentini (quintetto? Con Ginobili, ahimè, infortunato, era Pepe Sanchez, Delfino, Nocioni, Oberto e Scola) contro la zona, appunto, fecero in tempo incredibilmente (non più di 7-8 secondi) breve tutta una serie di passaggi nella quale tutti e cinque toccarono la palla dandola subito via all'uomo che nel frattempo si era smarcato finendo col trovare Delfino totalmente libero (e la Serboslavia – Bodiroga, Vujanić, Stojaković, Divac e Tomašević – difendeva, credetemi) per un indisturbato tiro da tre che mise senza scampo. Ecco, forse varrebbe la pena di guardare ancora il basket se solo si potesse avere la sublime gioia di vedere di tanto in tanto azioni del genere.